martedì 22 maggio 2018

Un angelo in carriera (by Franco Ruinetti)





Ne è passata di acqua sotto i ponti, ma sembra ieri. Così si dice, con frasi fatte, quando si ricorda il passato più o meno remoto e si riaccende con la luce viva della mente. Esso balza al presente da sé, talvolta col fiore del sorriso.

Durante le vacanze dell'estate, spesso, di mattina andavo a fare il bagno nel torrente Afra, al Gorgo del Ciliegio, frequentato da quelli come me che non potevano andare a Rimini o Cattolica. S'era sempre in molti, 15 o 20. Si lasciavano le biciclette poco lontano, appoggiate ad un greppo e non ne è mai mancata una. Ci si tuffava dallo scoglio della cascatella, non c'era alcun pericolo, tra il chiasso, gli schizzi, senza pensieri. Eravamo ragazzi per lo più della Scuola media o dell'Avviamento. Tutti maschi, con un'eccezione, che era la Teresina. Io ero ubriaco di libertà per le mie prime uscite da solo e con la bicicletta. Mi accompagnavano le raccomandazioni di mia made, che insisteva per darmi il sapone, ma non lo volevo perché non potevo usarlo, in quanto il figlio del farmacista, robusto e ringhioso, ne impediva l'uso. Diceva che il gorgo non era la bagnarola e ci dovevamo lavare nella vasca di casa, come se ce l'avessimo tutti. All'epoca, infatti, in paese, il gabinetto, che in genere serviva a più famiglie, era dotato della sola tazza. Seppi poi che si chiamava water.

Per me, quelle, erano mattine speciali. Venivano da sole come le altre, non avevano prezzo. Io ero pieno di salute e tutto questo non sapevo, mentre ero contento dalla testa ai piedi. Qualche volta stavo in acqua poco tempo, poi mi sedevo all'ombra su un lastrone levigato dalla corrente a guardare gli altri. Le cicale intonavano un concerto infinito. In realtà ero interessato solo alla Teresina, che poteva avere circa la mia età, 12 o 13 anni. Era una visione. Mentre alle sue amiche (segretamente nemiche) appariva indecente, una vergogna. Le avevo sentite criticarla mentre, di sera, passeggiavano per il corso. Ma forse avevano ragione perché a quell'epoca, ancora, stagnavano in provincia i fumi del Concilio di Trento.

Quando lei arrivava si arrampicava sulla roccia più alta, chiedeva spazio: “Largo, largo” e si tuffava da dove nessuno osava. Io la vedevo come una freccia del cielo, una rondine in picchiata. Anzi, molto di più. Aveva i capelli corvini, corti, riccioli, non le si appiccicavano alla testa riemergendo a galla. La modellava un costume nero, di un solo pezzo, come allora usava. Era la creatura più bella che avessi mai visto e che potessi immaginare. Saettando nell'aria, tutta bagnata, il sole le rimbalzava addosso e una volta pensai che fosse un angelo moretto, nudo come gli altri, uscito dalla pala dell'altare maggiore della chiesa di San Martino, sempre aperta e distante appena 100 metri in linea d'aria. Era luce soltanto e mi svegliava un piacere puro, non altro, come quando vedevo l'infiorescenza del biancospino o il sorriso di mia madre raramente serena.

Un giorno la Teresina ripeté il suo volo quattro o cinque volte. “Largo, largo”. Chiedeva spazio. Finché il figlio del farmacista, spazientito, disse che il gorgo non era proprietà privata, quindi si mise a starnazzare e poi a fare il morto in mezzo allo specchio dell'acqua.

Eravamo, ormai, verso la fine delle vacanze estive, venne un temporale, la cascatella del Ciliegio vomitò acqua torbida e, per me, la Teresina divenne un ricordo sempre più lontano, all'orizzonte della mente.

Ma tanto tempo dopo, erano addirittura trascorsi una quarantina di anni, la rividi. Feci fatica a riconoscerla, me la ricordarono quei capelli corti, ricci, sempre corvini, con l'albeggiare del rosso, tinti, come fanno quasi tutte, per ingannare l'età. Faceva il mio stesso lavoro, ma io ero rimasto in platea, mentre lei era sul palco, al centro del tavolo e fui rassicurato sulla sua identità dalla targa dichiarante il cognome, il titolo, il nome. Mentre parlava mi spostai in prima fila per osservare da vicino l'angelo in carriera, volato in alto fino alla dirigenza. La guardavo fissamente, le sue parole mi scivolavano addosso, non le sentivo. La somiglianza con la ragazza che ricordavo era molto sfocata. Portava degli anelli alle dita, anche vistosi, ma non all'anulare sinistro. Argomentai che gli angeli non si sposano, non abbiamo la certezza del loro sesso, anche se i pittori, per raccontarli al popolo, gli fanno il pistolino.

Sì: ogni tanto applaudivo all'unisono, non sapevo perché, solo per far parte del coro. La guardavo, riflettevo con riposata rassegnazione: “Siamo diventati vecchi e, prossimi alla pensione, ci incammineremo poi sulla strada del tramonto. Spero che il nostro paradiso, se ce lo meriteremo, sarà lassù, al Gorgo del Ciliegio.”

Franco Ruinetti